Nella definizione latina, instrumentum indica semplicemente un tipo di fornitura, di qualunque genere e consistenza, necessaria a svolgere una qualche attività: il corredo di un collegiale, di un soldato, di una sposa. Ma è il corredo nuziale a rivestire, nella storia, un grande valore culturale e sociale: specchio dei tempi, il corredo resta uno degli indicatori più dettagliati ed attendibili dell’evoluzione del gusto e del costume. Normalmente affiancato e parte integrante di una dote in denaro e beni di vario genere, poteva arrivare anche a costituire l'intero ammontare del "patrimonio", che la sposa, fin dall’antichità, era tenuta a portare con sé, pena l’impossibilità del matrimonio stesso.


La presenza o meno di un ricco corredo non era soltanto un fatto individuale e, ovviamente, di prestigio della famiglia (il corredo era esibito pubblicamente prima del matrimonio), ma era vissuto dalla collettività come garanzia sociale, in quanto definizione dello status "maritabile" di una componente della società e, quindi, perpetuazione dell’ordine e della stabilità sociali. Ed è la stessa società che, spesso, nella storia, si fa carico di promuovere manifestazioni specifiche, destinate alla possibilità di formazione di un corredo "minimo" per le meno fortunate e le meno abbienti. Si può vedere, a proposito, la trascrizione della secolare festa veneziana "delle Marie" in "C’era una volta il corredo da sposa" di Doretta davanzo Poli (ed. consorzio merletti di Burano, 1987).

Sul tema del valore sociale del corredo è fondata anche la tradizione di San Nicola dispensatore di doni, che ha dato poi storicamente origine (con le opportune correzioni) alla stessa figura di Babbo Natale. A Casa Buonarroti, a Firenze, è conservata la tavola di Giovanni di Francesco (1428? – 1459) con le Storie di San Nicola di Bari, con il famoso episodio del Santo che getta tre palle d’oro all’interno della casa di tre povere fanciulle sfortunate, cadute in miseria, per la formazione della dote, e salvandole quindi da un ineluttabile destino di rifiuto sociale e probabilmente dalla strada.

Lo status del corredo si identifica così con la stessa qualifica di essere donna all’interno di un gruppo sociale strutturato. Nel caso che la donna non si sposi il corredo resta e viene tramandato. E’ soggetto all’antico istituto giuridico della collazione, e cioè a confluire nel cumulo dei beni ereditari, a meno di indicazioni specifiche espresse per testamento.


Hanno corredi anche monache e badesse. Nel Museo di Palazzo Davanzati, a Firenze, sono conservate delle speciali “casse da monaca”, cassoni da corredo con corpo e coperchio bombati, destinati a quelle fanciulle per cui, fin da bambine, era previsto un futuro dietro alle porte di un convento.


Di fatto corredo e dote hanno svolto nella storia anche una funzione di garanzia della durata del vincolo matrimoniale, anche perché i beni "impegnati" restano di proprietà della donna in caso di scioglimento del matrimonio. In realtà sono amministrati dal marito, che però non può venderli, e tornano al padre della sposa, in caso di morte di questa, là dove non ci sono figli che possano ereditarli.

A parte la consistenza, nella storia del corredo, si registrano differenze di contenuto, a seconda che si tratti di corredi di una certa importanza o di corredi per classi meno abbienti. La biancheria da letto fa parte normalmente di questi ultimi, mentre il corredo importante si indirizza soprattutto su vesti, accessori, e telerie per un largo fabbisogno della donna e della famiglia. Nella tradizione ebraica è sempre l’uomo che porta con sé il corredo di biancheria da casa e da letto, mentre alla sposa resta comunque quello di biancheria personale. Le lenzuola, apparse in epoca bizantina, compaiono piuttosto tardi, ma già Boccaccio, in un racconto del Novellino, scritto tra il 1281 e il 1300, parla di lenzuola di seta; e, dopo il 1870, compaiono biancheria e lenzuola di seta colorata.


Ci sono corredi storici che sono rimasti famosi per la loro opulenza e splendore: primo tra tutti quello allestito per Lucrezia Borgia, andata sposa nel 1502 ad Alfonso d’Este, futuro duca di Ferrara, e il cui elenco è custodito presso l’Archivio di Stato di Modena. La consistenza, comunque, e il numero dei capi dello stesso genere, presenti nel corredo, varia molto nel tempo. Se nel 1466 il corredo di Nannina de’ Medici, sorella di Lorenzo il Magnifico, andata sposa a Bernardo Rucellai, e giudicato allora "ricchissimo", contiene una diecina di vesti da giorno, una sola camicia di tela bianca di "renza" (tela pregiata di sottile lino bianco, di Reims), quattro paia di guanti, otto di calze e un ventaglio ricamato ( oltre a cuffie e cappelli) (A. Fiorentini Capitani e S. Ricci: "Il costume al tempo di Pico e Lorenzo il Magnifico", ed Charta 1994), si passa alle 134 camicie (più 30 da notte) del corredo veneziano della sposa Priuli Tiepolo del 1788. E’ stato valutato che il corredo, non del tutto straordinario, anche se di una certa consistenza, di ciascuna delle quattro sorelle Raggi di Genova, tra il 1824 e il 1830, potesse valere l’equivalente di un appartamento di 150 mq o un peschereccio della stazza di 17 tonnellate (Doretta Davanzo Poli: "C’era una volta il corredo da sposa").

Ovviamente i corredi principeschi e reali hanno la loro maggiore consistenza negli abiti cosiddetti di rappresentanza della donna, normalmente dotati di finiture preziose, gioielli e accessori ad altissimo livello. Nel '400 scoppia una vera e propria mania per le maniche ricamate e ingioiellate (concepite anche singolarmente, dato che si staccavano e potevano essere sostituite a piacere), tanto da far dilapidare, per questo, interi patrimoni, e suscitare interventi continui di leggi suntuarie ed accese reprimende degli asceti della Chiesa. San Bernardino da Siena attaccò duramente l’uso delle maniche, non facendosi commuovere neppure dalla loro somiglianza con le ali degli angeli. ( M. Luciana Buseghin: "Ricamo di nozze" – ed. Caprai, 1987). Ma, ancora più che a causa dei gioielli, la preziosità, e quindi la consistenza dell’intervento economico, nella formazione del corredo, è lievitata a dismisura con la diffusione del merletto, a cominciare dal fiabesco punto in aria (dalle tecniche di sfilatura del reticello). Comparso per la prima volta a Venezia durante il '400, ed invenzione delle merlettaie veneziane, che resteranno punto di riferimento, per secoli, in tutta Europa, già alla fine del secolo viene prodotto, come guarnizione d’abito, in oro ed in argento. Dalla Roma papale alla raffinata corte degli Estensi, è Lucrezia Borgia a diffondere la passione per i merletti realizzati con metalli preziosi, spesso lavorati a contrasto, con il nero o con sete colorate,secondo il gusto spagnolo di provenienza dei Borgia. (M: Luciana Buseghin: "Ricamo di nozze" – ed. Caprai, 1987).

L’influsso di Vittoria sarà enorme, per tutti i suoi 64 anni di regno (fino ad ora il più lungo e stabile di tutta la storia britannica). Vittoria ed Alberto si impongono come modello di vita sociale, nei suoi costumi e nelle sue scelte quotidiane, indirizzato, con piena cognizione di causa e tenace continuità, non tanto nei confronti di una nobiltà che usciva svuotata di contenuti e di prestigio dal secolo precedente, ma di quella nuova classe borghese destinata a dare stabilità e prosperità al regno. Nel 1840, al momento del suo matrimonio d’amore col principe tedesco, Vittoria è al trono da soli tre anni; sono ancora freschi la memoria della rivoluzione francese ed americana e lo sdegno popolare per gli eccessi di lusso della nobiltà.

Vittoria , con una mossa di grande intelligenza, pur conservando tutti i requisiti di una pompa solenne, sceglie un vestito completamente innovativo rispetto alle pesanti vesti nuziali di Corte, bellissimo, ma notevolmente sottotono rispetto a un cerimoniale consolidato da secoli: sarà il prototipo della prima sposa reale in bianco, coronata di fiori d’arancio, modello assolutamente non inavvicinabile per tutte le fanciulle borghesi e di buona famiglia che verranno dopo. Per anni le spose inglesi ambiranno ad avere, per il giorno del matrimonio, i fiori d’arancio provenienti dal giardino di Osborne House di Vittoria. Lo stesso varrà anche per il velo di nozze: una corta stola di pizzo Honiton (non arrivava neanche a terra), apparentemente semplice e “ripetibile” come modello, ma in realtà, insieme al vestito dello stesso merletto, frutto del lavoro selezionato, per sei mesi, di circa duecento donne, con una capo merlettaia, Jane Bidey di Beer, a cui Vittoria è talmente grata da non esitare a invitarla al matrimonio reale. Se non c’è speranza di documentazione del prezioso velo, perché Vittoria lo ha voluto con sé nella tomba, quando è morta, appena scoccato l’inizio di un nuovo secolo (1901), e i disegni sono stati distrutti, diversa sorte, anche se non molto diversa nei risultati, è toccata al vestito, smontato dalla stessa Vittoria e riutilizzato per farne vestitini per figlie e nipoti.
Nella Collezione Museale Arnaldo Caprai un reperto di grande interesse è il 3665: si tratta di piccoli frammenti di pizzo Honiton, datati 1840, inseriti in un medaglione con due foto di un militare in divisa della prima guerra mondiale, tale Ket Stevenson, e una scritta di accompagnamento che recita “…made at Beer in Devon when Queen Victoria’s wedding dress was made, inherited from a descendant of Jane Bidney…”. …Un prezioso frammento di pizzo Honiton, tanto prezioso da essere conservato, ed entrare nel lascito testamentario di Jane Bidney, cioè della capo merlettaia di Vittoria. Probabilmente è l’unico frammento che rimane dell’abito da nozze della Regina.

Le stesse camicie da giorno e da notte di Vittoria (reperti 3215, 4447, 448 della Collezione Museale Arnaldo Caprai), semplicissime, di lino bianco, rifinite solo con un leggerissimo giro di pizzo Valenciennes e, a ricamo, la sigla della Regina, non sono troppo differenti da quelle che potevano esserci nel corredo di una ragazza di buona famiglia borghese del tempo.


Se Vittoria rappresenta un modello ideale di comportamento per la borghesia e la piccola nobiltà inglese, l’Imperatrice Eugenia lo è per la Francia. Decisamente più elegante ed aulica, rispetto a Vittoria, coinvolta anche lei in un matrimonio d’amore, Eugenia regnerà per soli 17 anni (dal 1853 al 1870, data della caduta del II impero e dell’esilio) ma avrà modo di lasciare una grossa traccia di sé nella memoria collettiva d’Europa. Un destino particolare e un’amicizia profonda lega le due donne ed imperatrici: anche se molto diverse fisicamente, le accomuna una non eccessiva differenza di età (7 anni), dei contatti continui, il fatto di essere vissute entrambe molto a lungo (82 anni Vittoria, 94 Eugenia), e, non da ultimo, quello di essere vedove entrambe di un consorte molto amato. Spesso Eugenia, nei momenti di crisi, trova rifugio in Scozia, da Vittoria. Viaggeranno anche romanticamente insieme per l’Europa, in incognito, come Contessa di Pierrefonds e Contessa di Balmoral.

Corredi principeschi a parte, un tempo la lunga preparazione del corredo avveniva all’interno delle mura domestiche, con l’eccezione di alcuni capi molto pregiati (per la presenza di ricami e merletti), la cui confezionatura era appannaggio, in genere, di ambienti "specializzati", come i conventi femminili. Le stesse monache fungevano anche da conservazione e trasmissione delle tecnologie e delle abilità necessarie, soprattutto dopo la grande diffusione del corredo in bianco, dall’ultimo quarto del '700. E' del '900 invece l’inizio della diffusione di ditte specializzate, che propongono tanto di cataloghi e preventivi per corredi della più diversa portata.


Se, con il passare del tempo, il corredo ha finito per assottigliarsi (una dozzina… mezza dozzina di capi della stessa tipologia…) e poi per perdere la sua caratteristica di funzione sociale (fatto dovuto anche al consumismo, all’invecchiamento velocissimo dei modelli, al fatto di "dirottare" consistenti interventi finanziari su beni più appetibili, come la casa o l’arredo), è vero anche che assistiamo ora ad una riscoperta del “pezzo speciale”, dell’oggetto tessile selezionato: un oggetto di particolare valore culturale, o di design, che possa far parte del “corredo” della futura sposa (o futuro sposo); che possa rappresentare un anello di congiunzione con la famiglia, o con una realtà da cui comunque ci si stacca; un oggetto da vivere (e, perché no?, anche tramandare) come speciale elemento di arredo per la nuova casa e la nuova situazione sociale.

Nel Museo Virtuale:

Sala n. 3 Una cassa di corredo, aperta, in modo da mostrare parzialmente il suo prezioso contenuto, fa bella mostra di sé tra le due finestre di un palazzo fiorentino della prima metà del ‘600. La scena ricostruisce un ambiente familiare dell’entourage dei Medici: una sala di un palazzo nobiliare con annessa alcova contenente il letto. La guardarobiera sta acconciando una giovane dama seduta, in procinto di nozze. Dalla cassa, e sparsi nella stanza, compaiono merletti e finiture preziose del corredo della ragazza. La madre, seduta accanto al focolare, accudisce ad una bambina della famiglia e legge intanto dal libro: “Descrizione delle felicissime nozze…”, di Michelangelo Buonarroti (nipote del più celebre omonimo), relative al matrimonio appena avvenuto (nell'anno 1600) tra Maria de' Medici ed Enrico IV di Francia.
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